sabato 6 settembre 2008

Quando la Kop cantava i Beatles

Ci sono alcune squadre che esercitano un fascino particolare verso chi è appassionato di calcio. Ed è innegabile che parte di questo fascino sia dovuto alla tifoseria che quella squadra segue e sostiene. Una di queste squadre è il Liverpool FC.

“I tifosi del Liverpool sono chiamati comunemente Reds, dal colore totalmente rosso della tenuta di gioco della squadra, ma la frangia più appariscente ed appassionata del tifo prende il nome di Kop, dal nome della curva omonima dello stadio di Anfield.
Il nome Kop viene dal luogo di una battaglia, persa dai britannici, della seconda guerra Anglo-Boera. Nel corso di tale battaglia, che ebbe luogo nel 1900 in Sudafrica presso la cima di Spion Kop, morirono molti soldati provenienti proprio da Liverpool e inquadrati nel reggimento di fanteria del Lancashire”.




Era il 1964 quando la Kop cantava “She loves you”, canzone pubblicata dai Beatles il 23 agosto di un anno prima. Il Liverpool si apprestava a vincere il sesto titolo di campione d’Inghilterra della sua storia: erano passati 17 anni dall’ultimo successo.

Molti anni più tradi Phil Thorton, nato e vissuto a Liverpool, avrebbe scritto nel suo libro “Casuals” a proposito della sua città:
“Liverpool è una città costruita sul mito. E’ sempre stata differente, fortemente conscia della propria posizione unica come porta per l’Irlanda e le Americhe, quasi nemmeno una città inglese. Culturalmente, se non proprio geograficamente, Liverpool ha più in comune con Dublino, Glasgow o perfino New York di quanto non ne abbia con, tanto per dire, Birmingham o Sheffield. E’ una città che rivela il proprio senso di individualità, la sua unicità, il suo volersi tenere distaccata da tutto, la sua attitudine insulare nei confronti del resto del Paese.

Il boom dei Beatles e del Merseybeat nei primi anni sessanta profuse a Liverpool un senso di importanza che trascendeva il mero campanilismo e quando i teddy boys si accorciarono i capelli adottando lo stile mod ispirato al clima mediterraneo, cambiò l’intera mentalità di una serie di generazioni.

Con questo rinascimento indigeno alimentato da musica e moda, sui media iniziarono a fare capolino i primi segni di un crossover fra musica, stile e football: quelle inquadrature della Kop di Anfield, con la folla a cantare all’unisono sulle arie di canzoni dei Beatles!”





Era il 1985 quando la Kop invadeva Bruxelles. Il Liverpool si apprestava a disputare la finale di Coppa dei Campioni, la quinta della sua storia.
Nick Hornby , scrittore e tifoso dell’Arsenal, nel maggio di quell’anno lavorava come insegnante di inglese per stranieri in una scuola a Soho. Dieci anni più tardi, nel suo best seller “Febbre a 90°”, avrebbe scritto:

“L’Heysel stava arrivando, com’è inevitabile che arrivi il Natale.
Ciò che sorprende è che la causa di tutte quelle morti fu qualcosa di tanto innocuo quanto una carica, esercizio che almeno la metà dei giovani tifosi inglesi praticava, e che non aveva altro scopo se non quello di spaventare i tifosi avversari e di divertire chi correva. I tifosi della Juventus, molti dei quali erano uomini e donne della media borghesia, non sapevano di questa abitudine, non conoscevano il complicato comportamento del pubblico inglese. Quando videro una schiera di hooligans inglesi urlanti cominciare a correre verso di loro, si fecero prendere dal panico e si precipitarono verso l’estremità del loro settore. Crollò un muro, e nel caos che seguì la gente morì schiacciata.

Alcuni dei tifosi del Liverpool arrestati più tardi devono essersi sentiti sinceramente sconcertati. In un certo senso, il loro reato era solo quello di essere inglesi: le abitudini della loro cultura, tolte dal loro contesto ed esportate in un luogo in cui non venivano capite, uccidevano le persone.

Il gioco da ragazzi che a Bruxelles si rivelò omicida si inseriva chiaramente e con prepotenza in una serie di atti apparentemente inoffensivi ma evidentemente minacciosi – cori violenti, gesti volgari, tutto quell’insieme di stupide smargiassate – a cui un’ampia “minoranza” di tifosi si abbandonava ormai da una ventina d’anni. In breve, l’Heysel fu espressione di una cultura che la maggioranza di noi aveva contribuito a creare.”



E' il 2008 e la Kop continua a cantare "You'll never walk alone". Il Liverpool è tra le favorite al titolo.

I Reds cominciarono ad intonarla prima di ogni partita alla fine degli anni cinquanta fino a farla diventare l'inno ufficiale del club.

Tommaso Tintori in un articolo di qualche anno fa pubblicato su Il Mainifesto ha scritto:

"Negli ultimi tempi però "You'll never walk alone" ha cominciato a segnare una netta divisione tra gli stessi tifosi del Liverpool. Quelli che lo cantano sempre si sono autodefiniti scousers: sono i nativi della città, i tifosi più autentici, portatori di uno spirito spaccone tipico di Liverpool, gente che bistratta la nazionale inglese perché la considera una cosa che riguarda soltanto l'Inghilterra del sud, quella con i soldi. Gli scousers sono i figli dei lavoratori dei docks del porto, a maggioranza irlandese, vittime di una crisi economica cittadina che si rinnova periodicamente. Sono quelli che beneficiano del welfare per tirare avanti e sono malvisti dai tifosi delle squadre del sud, tanto che prima i tifosi del Chelsea e poi quelli di altre squadre londinesi, hanno trasformato la canzone in You'll never work it all, ossia, non lavorerete mai abbastanza... Poi ci sono gli Out of towners, quelli che vengono da fuori e tendono ad intonare cori di altre tifoserie. Gente legata alla squadra dai risultati, dalla storia e dal fascino del merchandising, considerata dagli scousers alla stregua dei mercenari, nonché usurpatori di biglietti per le trasferte. Tifosi a seconda dell'occasione. I cittadini ricchi di Liverpool non son presi neanche in considerazione: quelli sono i Toffeemen, tifano l'Everton e frequentano Goodison Park."

Il tempo fa il suo corso, sana gradualmente ferite ancora aperte, trasforma il modernismo in vecchie immagini di archivio.

Stagione dopo stagione, trofeo dopo trofeo, il Liverpool FC ha conquistato un posto nell'elite del calcio mondiale ma parte di quel fascino è andato forse irrimediabilmente perso.

Luca

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